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view post Posted: 21/10/2023, 10:06 The Legend Of Zelda: Tears Of The Kingdom - Recensioni
GRAZIE CHRIS! :cheers: :cheers:

Che dire? Il canto del cigno di una delle migliori console Nintendo meritava una recensione kolossal :lol: :lol:
E ovviamente non ho intenzione di dirti di giocarlo insieme al predecessore perché altrimenti potrebbero accadere cose spiacevoli... o forse sì? :dev:
view post Posted: 17/9/2023, 18:51 The Legend Of Zelda: Tears Of The Kingdom - Recensioni

THE LEGEND OF ZELDA: TEARS OF THE KINGDOM


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Introduzione
The Legend Of Zelda è il candidato ideale per il titolo di “miglior serie di videogiochi” insieme a Super Mario: esiste dal 1986, e nei suoi quasi quarant’anni di storia è stata un punto di riferimento per il settore grazie ad innovazioni e anche a rivoluzioni massicce.
Ogni console Nintendo ha il suo capitolo di questo brand, e ogni nuova console Nintendo DEVE averlo come riceve il suo Super Mario 3D; è matematico. A Switch però è toccato un compito ancora più arduo del solito, ovvero proporne un altro dopo Breath Of The Wild, un gioco che nel 2017 si è imposto come capolavoro generazionale e uno dei giochi più innovativi dello scorso decennio; un impatto che nella saga non si vedeva dall’ormai lontano 1998 con l’uscita di Ocarina of Time. E se ciò non fosse già abbastanza difficile, bisogna considerare che avrebbero dovuto sfornarlo su una console che a livello di specifiche non rappresenta un passaggio generazionale rispetto a Wii U.
Come si realizza il successore di un gioco epocale? E come si può riproporre un impatto equiparabile in una nuova generazione in cui il divario tecnico a favore della concorrenza è diventato ancora più grande?
Probabilmente queste sono le domande che si sono posti il producer Eiji Aonuma e il director Hidemaro Fujibayashi nei 6 lunghi anni trascorsi dall’arrivo di Breath Of The Wild e il lancio del nuovo Tears Of The Kingdom.
E in qualche modo sono riusciti a trovare le risposte.

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Il cielo crolla
Decidere di replicare la potenza di uno dei giochi più influenti degli ultimi 10 anni è un obiettivo anomalo anche per gli standard di Nintendo, pertanto hanno dovuto lavorare in modo anomalo. L’azzardo intrapreso in questa missione impossibile si è visto all’E3 2019, in cui è stato rivelato che il nuovo Zelda principale sarebbe stato per la prima volta un seguito diretto, ambientato persino nella stessa mappa di gioco. Una scelta intelligente, dal momento che significa mantenere il world design e la fisica che hanno fatto la fortuna del predecessore, ma molto rischiosa a causa della rottura con la tradizione e della probabilità di avere un “more of the same”.
Per 4 anni la fanbase ha avuto il fiato sospeso, finché anche questo capitolo della serie non si è avviato con una presentazione silenziosa dal titolo minuscolo.

Con la sconfitta di Calamity Ganon, la pace è ritornata su Hyrule, tuttavia un secolo di influenza maligna ha lasciato alla ritrovata principessa Zelda e al portatore della spada suprema Link un regno devastato da ricostruire.
Il male però non dorme mai, soprattutto con la maledizione di Demise sempre attiva.
Tears Of The Kingdom comincia pochi anni dopo la fine di Breath Of Wild, con Link e Zelda intenti ad esplorare un’enorme zona sotterranea del castello reale che nessuno ha mai visto. Al suo interno rinvengono rovine appartenenti al popolo Zonau, una stirpe divina discesa dai cieli ai tempi della fondazione di Hyrule stessa, ma anche un’antica mummia sigillata da un potere misterioso.
Sfortunatamente, appena la coppia mette piede nella camera sepolcrale, l’antico sigillo cede e permette alla creatura imprigionata di ridestarsi con intenti ostili. Il cavaliere l’affronta coraggiosamente per difendere la sua signora, ma dopo solo due fendenti si ritrova con la spada suprema in frantumi, e il braccio destro bruciato da un miasma tossico.
Sconfitti, l’eroe e la principessa possono solo guardare mentre il mostro scatena la sua enorme forza, facendo emergere il castello dalla terra e provocando la caduta di centinaia di blocchi di pietra dal cielo. Con il crollo della caverna, anche Zelda e Link sembrano precipitare nel vuoto: la prima però scompare improvvisamente in un fascio di luce dorata; il secondo invece viene afferrato dalla stessa mano che conteneva l’antico essere.

Dopo questo breve prologo, il giocatore di Breath Of The Wild comincerà a sentirsi a casa, perché il protagonista si risveglia di nuovo mezzo nudo, da solo, e in luogo isolato da tutto e da tutti. A causa dell’attacco subito, i cuori e il vigore extra accumulati durante la precedente campagna sono andati perduti, tuttavia il braccio misterioso ha preso il posto del suo arto corroso, preservandogli le funzioni vitali e motorie.
Sebbene sia indebolito e non possa più contare sulla spada che esorcizza il male, l’eroe Link deve comunque seguire il suo compito per ritrovare la principessa scomparsa e distruggere il nuovo nemico che minaccia Hyrule. Dovrà attraversare un regno cambiato, in cui l’eruzione di potere della mummia sepolta ha distorto gli equilibri naturali, rivelando cose che nessuno avrebbe mai immaginato.

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Nuovo braccio, nuovi poteri
Le fasi iniziali rappresentano il collo di bottiglia di gran parte dei giochi dotati di meccaniche complesse o semplicemente di una notevole quantità di sistemi: farle troppo lunghe e pedanti potrebbe portare il giocatore alla noia prima che la produzione cominci ad ingranare; tralasciarle invece creerebbe confusione e fraintendimenti negli utenti meno esperti o che non hanno voluto informarsi in anticipo. E non bisogna dimenticare che un inizio fastidioso rappresenta un enorme ostacolo alla rigiocabilità.
Con Breath Of The Wild Nintendo ha risolto il problema tramite un “tutorial invisibile”: una lunga sequenza con pochissimi aiuti e indicazioni, posizionata però in un ambiente relativamente sicuro dove è possibile scoprire pezzo per pezzo il core dell’esperienza. Con la sua capacità di insegnare tanto le meccaniche quanto la logica di gioco, rimanendo comunque sotto il controllo e la volontà del giocatore, questa sezione si è imposta come uno dei migliori tutorial della storia.
Non è quindi una sorpresa che Aonuma e Fujiyabashi abbiano provato a replicarne la magia con il sequel.

Il nuovo viaggio di Link ha inizio oltre le nuvole, in una gigantesca isola fluttuante abitata dai “golem”, automi zonau che continuano a salvaguardare gli antichi domini dei loro creatori estinti, nonostante siano ormai trascorsi migliaia di anni. I cieli che fino al giorno prima sembravano vuoti, adesso sono pieni di terre e strutture volanti che aspettano solo di essere raggiunte da avventurieri intrepidi.
Avendo ancora l’ordine di attaccare gli intrusi a vista, le macchine sono generalmente ostili, ma alcune sono ben disposte ad offrire il proprio aiuto al cavaliere. Una in particolare gli dirà che Zelda lo attende al santuario del tempo, poi consegnerà uno strumento usato poco prima dalla stessa principessa: una tavoletta sheika rinominata “tavoletta di Purah” a seguito di un redesign.
Raggiungere l’obiettivo non sarà facile perché l’ingresso della struttura e la via per ritornare sulla superfice sono chiusi da un blocco accessibile solo a chi possiede 4 cuori; il che vuol dire che ancora una volta bisognerà trovare 4 sacrari e ottenere la benedizione della dea Hylia. Fin qui si potrebbe dire che sia una riproposizione di un’idea vincente senza stravolgimenti, ma la musica cambia appena si comincia ad ottenere i poteri che hanno rimpiazzato le rune del predecessore.
Il primo ad essere ottenuto è “Ultrahand”, che non tarda a rivelarsi come la gimmick principale dell’esperienza.
Tramite questa abilità, Link può spostare ed inclinare ogni singolo oggetto non inchiodato allo scenario, sostituendo ed espandendo la Magnesys di Breath Of The Wild che permetteva l’interazione solo con i metalli; tuttavia è riduttivo. La particolarità, e la meraviglia, di Ultrahand è che consente di fondere e separare qualunque cosa in tempo reale, che siano tronchi o strumenti complessi: per esempio il primo obiettivo consiste nel collegare un gancio ad una lastra di legno, così da poterlo usare come gondola; il secondo invece prevede di unire dei tronchi e poi una vela per ottenere una zattera mossa dal vento. Il tutto si fa ancora più interessante ed elaborato quando entrano in gioco anche i congegni zonau, che funzionano con l’energia di una batteria, ma sarà un discorso per dopo.
Con questo potere, non diventa accessibile solo la parte dell’isola rimasta reclusa, ma anche i sacrari dove sono custodite le tre abilità rimanenti della compilation: Fuse, Ascend e Recall.
Fuse rivoluziona completamente sia l’approccio al combattimento che l’utilizzo dell’equipaggiamento perché, fedelmente al suo nome, permette di “fondere” un’arma o scudo con un oggetto –NB: uno solo-, qualunque esso sia. Le combinazioni sono innumerevoli: è possibile fondere due lance per ottenerne una molto più lunga; combinare con mazza con una lastra grande di legno per ottenere un ventaglio; unire ad una freccia tutti gli oggetti dell’inventario prima di scoccarla, che sia una ghianda oppure un fiore bomba.
Ma la feature più significativa riguarda la fusione tra un’arma e le parti di mostro per ottenere una strumento con un potere d’attacco maggiorato. Vengono così risolte ben tre criticità legate al predecessore: dà un’utilità ai bottini degli scontri, aumenta incredibilmente la varietà dell’armamentario, e infine compensa la famigerata usura delle armi grazie alla facoltà di ricrearsi senza problemi gli arsenali persi.
Ascend e Recall invece sono abilità per lo più esplorative: la prima solleva il giocatore verso i soffitti e lo sfa bucare dall’altra parte, indipendentemente che siano lastre di legno o la più alta delle montagne; la seconda fa tornare indietro il tempo per i movimenti degli oggetti inanimati, poco importa che sia stato Link o la fisica a spostarli.

Ottenendo e utilizzando questi poteri, la grande isola volante si apre, mettendo in mostra sia l'estensione che la sua notevole verticalità, un elemento cardine dell’intera produzione.
Diversamente dall’altopiano delle origini del predecessore, l’area iniziale di Tears Of The Kingdom è infatti un pò più segmentata, guadagnandone però in varietà e complessità. Ciò si rivela un grande vantaggio perché l’area è disseminata di micro-sequenze necessarie per apprendere le numerose nuove meccaniche introdotte, e la sensazione di poter imparare seguendo i propri ritmi non è venuta meno. Queste sezioni e tutorial mascherati sono contenuti in un level design di altissimo profilo, sviluppato su più strati e massiccio sia nella densità che nella varietà offerta.
Semplificando, solo nella prima mappa sono presenti contenuti sufficienti per 3-4 ore di gioco, e ogni minuto di queste ha un obiettivo ben preciso: insegnare al giocatore cosa significa avere il controllo assoluto della propria partita, al punto da permettergli di introdurre personalmente nuove vie e nuove variabili nel sistema. Eppure, per quanto possa essere grande la conoscenza acquisita, sarà sempre solo la punta dell’iceberg, perché la vera esperienza principale attende in superficie.
E’ sufficiente un tuffo… da 2000 metri e senza paravela.

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Un regno da salvare… di nuovo
Tra tutti i dubbi che avvolgevano il gioco prima del lancio, nessuno ha generato paure come la scelta di riutilizzare la Hyrule del predecessore: alcuni utenti hanno temuto l’arrivo di un more of the same; altri addirittura hanno accusato Nintendo di voler rilasciare un DLC glorificato al prezzo di 70 euro. Timori comprensibili, dopotutto per 4 anni gli sviluppatori sono stati fin troppo vaghi e avari con le informazioni, ma fortunatamente molti si sono fasciati la testa prima di essersela rotta.
Il regno è cambiato. Anche se ad un primo acchito non sembra così, è cambiato.
Dopo essere sopravvissuto alla caduta dalla grande isola celeste buttandosi in un lago, il giocatore ritorna sulla superficie, tuttavia c’è qualcosa che non va: ci sono mostri ovunque, le pianure di Hyrule Centrale sono piene di detriti piovuti dal cielo, e ogni arma di metallo esistente al mondo ha perso potenza a seguito di una corrosione. Solo facendo riunire Link con i suoi amici e commilitoni è possibile avere un’idea di cosa sia accaduto: con l’emersione del castello, il miasma che ha distrutto la spada suprema si è diffuso ovunque senza risparmiare nulla; l’equilibrio naturale invece è andato in frantumi come le isole, causando sconvolgimenti apocalittici in buona parte della nazione. Per quest’ultimo motivo, l’evento viene denominato “Cataclisma”, e spetterà ancora una volta all’eroe mettere a posto le cose; il tutto mentre cerca la principessa Zelda scomparsa.

Così come accade in Breath Of The Wild, anche Tears of the Kingdom concede subito una scelta: seguire la storia, oppure ignorarla e dirigersi dal boss finale. Dato che con soli 4 cuori e armi ricavate dagli scarti la seconda opzione significherà morire –anche se vincere è comunque fattibile-, almeno per il momento la maggior parte degli avventurieri propenderà per la main quest.
L’obiettivo principale consiste nuovamente nel recarsi nelle roccaforti delle 4 razze non hyliane –Rito, Gerudo, Goron e Zora-, dove disastri ambientali e minacce di vario tipo stanno lentamente consumando tutto ciò che si trova nel mezzo. Non è necessario né seguire un ordine o raggiungere le zone entro un tempo limite, pertanto il giocatore può viaggiare liberamente e cercare di acquisire poteri e armi nel tragitto. Fuori c’è un grande regno che attende solo di essere esplorato e riscoperto.
Già dopo qualche ora, diventa chiaro che gli sviluppatori devono aver preso molto sul personale le critiche alla mancanza di interni nel predecessore, poiché il territorio è disseminato di grotte e altre aree sotterranee. Sono ben 147, di grande valore tanto nel numero quanto nella varietà dal momento che sono legate tematicamente all’area in cui si trovano: tunnel pieni di lava nel monte morte; cunicoli ghiacciati ad Hebra; rovine sabbiose nel deserto Gerudo; antichi siti dove ci sono monumenti zonau nelle vicinanze ecc.
Ogni singolo antro è la casa di una spettrorana, una creatura simile ad un rospo che rilascia una gemma speciale dopo essere stata sconfitta, mettendo così in chiaro che l’obiettivo è stato raggiunto. Non va però commesso l’errore di pensare che le caverne servano solo per accumulare serie su serie di questo collezionabile dall’utilizzo misterioso, perché c’è molto di più. Le grotte costituiscono un bioma separato dove rinvenire risorse assenti altrove, inoltre alcune di esse si sviluppano in orizzontale, collegando più zone per via sotterranea. Gli ambienti si possono poi trasformare in ascensori grazie all’abilità Ascend, che permette di scalare anche la vetta più alta qualora ci sia una rientranza alle pendici o sotto.
Nemmeno questo però deve aver soddisfatto pienamente il director, perché come supplemento è stato modellato persino l’intero dei pozzi sparsi per il regno. Non sono importanti quanto le grotte, quindi sono sprovviste di collezionabili come la gemma della spettrorana, eppure anche dettagli all’apparenza così possono riservare sorprese come passaggi segreti o rifugi di NPC speciali.
Per farla breve, gli sviluppatori hanno notevolmente aumentato la ricchezza della mappa senza però mettere mano alla dimensioni già parecchio generose.
Sfortunatamente per Link, un trattamento simile è stato riservato anche ai mostri, ora più numerosi, più organizzati, e soprattutto presenti in molte più forme. La varietà di nemici era il più grande tallone d’Achille del predecessore, pertanto un miglioramento in quell’aspetto è ben gradito: certo, non c’è da aspettarsi Elden Ring, tuttavia hanno fatto in modo che ogni tipo di zona possa avere i suoi avversari caratteristici. Le grotte appena citate sono indicative anche di questo concetto, dal momento che fanno da tana agli Obbroblin e agli Ike-Ike, rispettivamente creature simili a troll e vermoni che inghiottono di tutto. Non si possono poi ignorare tra le new entries 3 nuovi overworld bosses, tra cui i creativi Golemax e i temibili Gleeok, i draghi a tre teste che mancavano nella serie da quasi 20 anni; inoltre i guardiani corrotti potranno non esserci più, ma l’inseguitore introdotto al loro posto spingerà qualcuno a rimpiangerli mentre implora per la sua vita.
C’è molto altro tra le schiere nemiche, eppure la differenza positiva più grande la fa l’abilità Fuse, perché grazie a tale potere i servi del male non sono solo bestie da sterminare o evitare. A causa del cataclisma, le armi di Hyrule si sono corrose e hanno perso potenziale distruttivo, ma non è nulla che non si possa risolvere raccogliendo un po’ di spoglie di guerra. Nel paragrafo precedente è stato spiegato che è possibile fondere gli oggetti dell’inventario con l’equipaggiamento per aumentarne il danno, oppure farlo con le frecce e lanciarli lontano; adesso verrà esaminato quello che significa per il gameplay.
Quando i nemici vengono ridotti a risorse, viene introdotto un paradigma a la Monster Hunter: si uccide un certo tipo di creatura fino ad ottenere un equipaggiamento soddisfacente, poi si passa ad una bestia più forte e più forte ancora, finché alla fine non si assume il ruolo di predatore alpha. In Breath Of The Wild non conveniva attaccare briga perché si rischiava solo di rompere armi preziose per niente; in Tears Of The Kingdom grazie al principio sopracitato più si combatte, più saranno le armi e le punte di freccia a disposizione. Lo stesso vale tanto per i drop dei mostri quanto per i beni trovati in giro: per esempio all’inizio ci si potrebbe rifiutare di usare un prezioso rubino come arma di distruzione di massa, ma quando i numeri cominceranno a superare le decine, sarà difficile resistere alla tentazione.
La stessa meccanica ha quindi portato nella giocabilità un gameplay loop accompagnato da una sperimentazione virtualmente infinita. Se questo sembra incredibile, nel paragrafo successivo si vedrà che in realtà il discorso è ancora ben lontano dall’essere completo

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L’eredità degli Zonau
Gettarsi da un’isola situata a migliaia di metri d’altezza non significa abbandonare le nuvole per sempre
Dopo la sconfitta di Calamity Ganon, i resti degli antichi guardiani e della tecnologia Sheika sono stati rimossi e smantellati, tuttavia hanno riutilizzato il salvabile per metter su delle altre torri. Queste strutture nuove di zecca sono capaci di mappare la superficie di Hyrule, e allo stesso tempo sparano una persona nei cieli per farle raccogliere dati sui vari arcipelaghi sospesi; tutto ciò che serve è una paravela per arrivarci in piedi.
Le isole fluttuanti non sono particolarmente numerose, ma in compenso hanno una grande diversificazione in termini di puzzle e level design, e oltre a questo servono molteplici scopi. Il loro primo compito è di fungere da punto di appoggio per il giocatore, così che possa bypassare parecchia strada e ostacoli semplicemente planando. Tears Of The Kingdom ha voluto rendere le cose più interessanti con l’introduzione della caduta controllata, che permette a Link di sfruttare l’attrito dell’aria. Mentre precipita, adesso l’eroe può spostarsi leggermente, tirare con l’arco, e persino gettarsi in picchiata per raggiungere terra più in fretta; e il tutto può essere elevato al massimo trovando la tuta alare che aumenta l’aerodinamicità. Dopo 12 anni dall’uscita di Skyward Sword che non ha saputo valorizzare la sua gimmick principale, Fujibayashi si è preso la sua rivincita.
Riguardo la seconda funzione, si può notare che in ogni arcipelago si trova un macchinario simile ad un distributore di capsule giapponese, e per attivarlo è sufficiente usare una o più fonti energetiche sottratte ai golem distrutti. In base a quanto offerto fuoriuscirà un numero variabile di sfere che contengono antichi congegni zonau, i quali possono essere alimentati dalla batteria che il protagonista ha ricevuto nel tutorial.
E’ stato inserito di tutto: cannoni, lanciafiamme, bombe a tempo, laser ma anche strumenti utili all’esplorazione come piattaforme antigravità, molle, razzi, specchi e tanto altro ancora. Ogni singolo oggetto è inoltre liberamente combinabile tramite Fuse, così che chiunque possa attaccare un razzo al proprio scudo e sollevarsi di 30 metri in aria, oppure trasformare un bastoncino in un cannone, e chissà che altro. Con Ultrahand il tutto si fa ancora più fantasioso: per esempio si possono fondere insieme più molle per incrementare il rimbalzo, e al contempo bloccarle a terra con un paletto per impedire che il rinculo le faccia volare via. Alcuni congegni vantano una versatilità e una quantità di applicazioni tale da superare persino i gadget della formula classica, e in totale ne esistono ben 27 tipologie.
Si tratta di un numero impressionante, eppure non più impressionante del momento in cui da quelle macchine cominceranno ad uscire ruote, batterie di riserva, slitte, carrelli, e persino alianti e aeroglobi. Il momento in cui cambia ogni cosa.
Non si potrà più osservare i biomi di Hyrule con gli occhi stessi dopo aver compreso si possono costruire anche veicoli controllabili a piacimento. Dai motoscafi per gli specchi d’acqua, aerei e mongolfiere per i cieli, moto e auto da corsa per le pianure, fuoristrada per i terreni irregolari, slitte per neve e sabbia; è possibile assemblare qualunque vettura per qualunque situazione. Anche se ci sono voluti 15 anni, qualcuno ha ripreso la gimmick principale di Banjo Kazooie: Nuts and Bolts.
E dato che il potere permette di agganciare senza restrizioni –spazio permettendo- tutti gli oggetti, nessuno impedirà al giocatore di collegare qualche lastra di metallo in più o armi. Si può metter su con facilità un normalissimo carrarmato o un bombardiere, oppure abbracciare il lato guerrafondaio e costruire un esoscheletro gigante, impenetrabile e armato fino ai denti con cannoni e raggi laser. L’unico limite riguarda i consumi, perché gli strumenti bellici di grandi dimensioni non fanno sconti con la batteria. Ci sarebbe anche il rischio che possa risultare tedioso assemblare tutto pezzo per pezzo ogni volta, ma per fortuna dopo poco tempo si ottiene lo “Schematrix”, un potere che replica in fretta le costruzioni precedenti.
In virtù di quanto esposto, non sarebbe un’esagerazione dire che Ultrahand avrebbe potuto reggere l’intera esperienza da solo: i suoi utilizzi sono infatti virtualmente infiniti e riescono a comprendere in egual modo puzzle, esplorazione, traversal e combattimento, come nessuna abilità vista in precedenza della serie aveva mai fatto anche solo alla lontana. E c’è ancora molto da dire.

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Il ritorno dei sacrari
Molti potrebbero aver storto il naso leggendolo, ma i famigerati sacrari hanno fatto il loro ritorno insieme agli altrettanto discussi semi Korok; e come se non bastasse, sono tornati in numeri maggiore, con 152 sacrari e addirittura 1000 semi.
Esattamente come nel predecessore, i primi permettono di aumentare la riserva di cuori e di vigore, e i secondi di incrementare il numero massimo trasportabile di armi, archi e scudi. Questo però è irrilevante, poiché ciò che conta non è la loro riproposizione, ma il modo in cui è stata gestita.
Per i semi Korok non è cambiato molto: al di là di un aumento delle tipologie di rompicapo dietro cui si nascondono, l’unica novità è rappresentata dai Korok viaggiatori, che vanno raccolti fisicamente con Ultrahand e condotti in un luogo specifico. Quest’ultima tipologia per ovvi motivi è la più complicata e dispendiosa in termini di risorse ed energie, tuttavia si viene ricompensati il doppio, e qualche volta guidano verso i punti di interesse. (Inoltre, come ci ha insegnato la fanbase, se nel vostro animo alberga un sadismo represso, potrete sfogarlo su queste innocenti creature assemblando i più terrificanti e disumani strumenti di tortura)
Per i sacrari invece la questione è più complicata.
Tanto per cominciare, i nuovi poteri hanno cambiato quasi radicalmente l’approccio al puzzle design, lasciando inalterato il focus sulla fisica ma spostandolo verso la manipolazione e l’assemblaggio. Questo comporta che non si tratta più di comprendere il puzzle, quanto di creare con le proprie mani le condizioni per risolverlo, oppure costruire i tasselli mancanti dei meccanismi che li regolano. Sostanzialmente, gli sviluppatori si sono accorti che i giocatori si divertivano a cercare modi alternativi per superare i sacrari di Breath Of The Wild, e hanno deciso di applicarlo su larga scala; come per i veicoli. Nel seguito non ha importanza cosa si utilizza per raggiungere l’obiettivo purché lo si faccia, e come nei migliori immersive sim spesso si vince senza neppure accorgersi del metodo che in teoria si sarebbe dovuto seguire.
Il controllo è pressoché totale, e chi ama credere –illudersi- di aver ingannato il sistema troverà qui il suo pane quotidiano.
In quanto ai sacrari in sé, sono divisi in 3 categorie: le benedizioni di Raul, i terreni di prova e i classici puzzle.
-Le benedizioni di Raul sono semplicemente una stanza priva di puzzle o minacce che contiene il tesoro e un forziere extra. A differenza delle due tipologie sopracitate sono esse stesse la ricompensa, pertanto si trovano sempre al termine di una sfida esterna, oppure sul fondo di grotte o pozzi più nascosti e articolati del solito.
-I terreni di prova sono la sovversione dei “test di forza” del predecessore, poiché anche in questo caso vediamo sfide orientate al combattimento, ma con un’arena e un encounter design degni di questo nome. Paradossalmente alcuni di questi sacrari si rivelano essere tra i migliori del gruppo grazie alle situazioni esagerate che propongono, tra infiltrazioni alla Metal Gear, eserciti di droni killer, oppure massacri con veicoli armati alla Mad Max.
-I puzzle, manco a dirlo, sono dei microdungeon con uno o più rompicapi che seguono un tema preciso tipo la creazione di strade, l’utilizzo di un congegno zonau o di un potere. Non hanno una difficoltà elevata, così come non l’avevano i corrispettivi del predecessore, tuttavia l’essere fondati sul puzzle design sopracitato e su un numero ben maggiori di elementi li rende molto più vari e creativi.
Le sfide proposte sono ciò che legano indissolubilmente questi sacrari all’esperienza complessiva, perché a conti fatti continuano ad essere parte di quei tutorial invisibili di cui Hyrule è stracolma. Si accede alla ricerca di emblema da scambiare con cuori e vigore, ma spesso senza accorgersene si esce più esperti sulle meccaniche o sull’utilizzo degli strumenti che il gioco mette a disposizione, soprattutto sui vari dispositivi.
Il concetto preferito di Miyamoto “Un’idea è buona quando risolve più di un problema” nella sua forma più pura.


La ricostruzione di Hyrule
Una critica minore al precedente capitolo di Zelda riguarda i centri abitati, accusati di essere non “brutti” ma piccoli e accessori rispetto al resto dell’esperienza, soprattutto a causa di missioni secondarie ed NPC banali. Chiunque l’abbia mossa sarà libero di gioire, perché a guadagnare di più dalla ristrutturazione della mappa di gioco sono stati proprio i vari insediamenti, già a partire dal primo –in teoria-.
Il nuovo forte di guardia è praticamente l’hub centrale, e per questo dà molti motivi per visitarlo più e più volte: si evolve mano a mano che si procede nella storia; dà accesso a tutti i servizi possibili tra cui stalle, merci in vendita che cambiano periodicamente, letti e altro in un unico luogo ristretto; e soprattutto è il punto di partenza per le quests più importanti. Per quanto riguarda i paesi già esistenti, i principali delle quattro razze sono stati espansi, comprendendo anche i territori limitrofi, basti pensare ai Goron che adesso sono diffusi in un’area del Monte Morte ben più grande. I villaggi Hylia come Calbarico e Finterra sono stati modificati al punto da essere quasi irriconoscibili, e anche ad un villaggio inutile come Vappesca è stata concesso il peso che meritava. Sono presenti persino delle fazioni, tra cui il gruppo di ricerca Zonau che studia le isole volanti precipitate, e i giustizieri che radunano gruppi di soldati per attaccare gli accampamenti nemici grossi.
Centri abitati più estesi significa più NPC, che di conseguenza si traducono in un numero maggiore di missioni secondarie e di incarichi. Il quest design è ancora una compilation di tutorial e idee per indirizzare il giocatore verso i punti di interesse anziché missioni classiche, sebbene ci siano stati dei passi avanti. Tra le migliorie si possono evidenziare storie più interessanti, interazioni simpatiche tramite la abilità, e soprattutto ci sono ricompense che vanno ben oltre una manciata di rupie o un oggetto casuale. Il gioco si prodiga infatti a dare premi tangibili come nuovi servizi locali, e in alcuni casi anche nuove attività e minigiochi, affinché la sensazione di star agendo attivamente sul mondo sia quanto più concreta possibile.
L’operazione di espansione viene infine coronata dalla “Gazzetta Trifoglia”, che reintroduce nella serie attività in puro stile Zelda tramite una questline piena di situazioni assurde. Questi eventi sono legati agli stallaggi, i quali cessano di essere dei semplici punti di ristoro per diventare dei microcosmi, ognuno dotato di una sua identità, e a volte anche di qualche incarico aggiuntivo.
In poche parole, gli sviluppatori non hanno preso alla leggera neppure le critiche sugli aspetti minori, e non hanno badato a spese nel correggerle.

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Layers of the Kingdom
Oltre a quanto citato finora, la nuova Hyrule è disseminata di baratri profondissimi da cui fuoriesce il miasma: fosse che in una produzione incentrata sulla caduta libera attirano gli avventurieri come la luce con le falene. Ecco, se il gioco non fosse stato leakato 10 giorni prima dell’uscita, nessuno avrebbe saputo in anticipo una delle più grandi sorprese fatte da Nintendo negli ultimi anni.
Sul fondo non si trovano ulteriori aree circoscritte come le grotte o i sacrari. Le voragini sono i cancelli per un intero mondo sotterraneo con un’estensione pari a quella della superficie, e gli sviluppatori hanno provato a tenerlo segreto fino alla fine. Probabilmente hanno agito così per non creare false credenze, perché poche ore sono sufficienti per capire che il sottosuolo non è ciò che ci si aspetterebbe.
Le profondità di Hyrule non sono un luogo accogliente, ma una landa infestata da mostri che infliggono danni capaci di ridurre la vita massima, e avvolta da una tale oscurità da non riuscire a vedere su cosa si sta poggiando i piedi. L’esplorazione calma e incantevole della superficie è pura utopia lì sotto: persino camminare è disincentivato, perché il terreno celato dal buio spesso trasuda di miasma, e calpestarlo significa vedere i propri cuori sparire permanentemente uno per uno fino alla morte. Solo la luce più pura o un piatto cucinato con i tarassachi del sole delle isole volanti permettono di recuperare la saluta scomparsa, quindi è inevitabile che ad un certo punto si dovrà fuggire prima che le tenebre consumino Link.
Questo sottosuolo è “strano”: si tratta di un luogo che sulla carta non dovrebbe funzionare, dove l’elemento principale del gioco stesso viene ostacolato per favorire un’esperienza stressante e tediosa. Ma non succede.
La natura della nuova mappa genera un primordiale desiderio di conquista nel giocatore, che anziché fuggire è spronato ad usare gli strumenti a disposizione per addentrarsi nel buio. Si comincia così a lanciare semi luminosi per creare zone di luce intorno a sé, chiedendosi ogni volta se atterrerà nelle vicinanze, in un dirupo chissà quanto profondo, oppure in una distesa di miasma. E’ possibile trovare delle radici sacre capaci di illuminare permanentemente e mappare una piccola area, tuttavia non si potrà stare comunque tranquilli a causa del terreno corrotto dal male; l’unico modo per spostarsi in sicurezza è alla guida di un veicolo.
Anche se a fatica, è quindi possibile sopravvivere in quella landa ostile, adesso però viene da chiedersi perché darsi tanto da fare.
Per cominciare, le profondità sono il luogo di estrazione di una risorsa chiamata “Zonaio”: si tratta di un minerale che nella sua forma grezza può assemblare le creazioni nello Schematrix al posto dei materiali richiesti; raffinato invece permette di aumentare la capienza della batteria per i congegni zonau. I giacimenti rappresentano da soli una motivazione sufficiente per gettarsi nei baratri, poiché una carica maggiore significa veicoli più complessi, e di conseguenza nuovi posti da raggiungere. Altri beni del regno sotterraneo sono i “poo”, spiriti smarriti simili a fuochi fatui utilizzabili come valuta per le statue stregonesche, che prima vendono oggetti rari, poi consentono di ricomprare le armi uniche andate in frantumi.
Ma il secondo gameplay loop e le anime non sono l’unico motivo per saltare nel buio, né il più importante. Per quanto possa essere diverso, il sottosuolo è parte di Hyrule: ne rappresenta una versione distorta, e qualunque cosa si annidi nella sua impenetrabile oscurità è lì perché nella superficie esiste un corrispettivo. Per fare degli esempi, le radici si trovano al di sotto dei sacrari, i muri invalicabili che dividono l’area in settori si ergono al posto degli specchi d’acqua, gli impianti di estrazione sotto le montagne, ecc.
Tra i due strati esiste quindi un forte legame spaziale, e il vero pregio è che può essere sfruttato da ambo i lati: conoscere il mondo di sopra permette di dare una struttura ad una area che non sembra avere logica; conoscere le profondità dà accesso ai segreti dell’esterno.
Ancora non basta? Il meglio è stato lasciato per ultimo, e si tratta del nemico principale della mappa sotterranea, gli Yiga.
Questi avversari un tempo minoritari sono diventati una minaccia più concreta grazie alle numerose trappole e imboscate, ma si tratta solo di un assaggio perché è nelle profondità che si sono impegnati davvero. Il clan ha imparato ad utilizzare i congegni zonau, e per questo hanno tirato su decine di piccole basi, fortificate con ogni trappola concepibile e sorvegliate da uomini che guidano mezzi, dagli aerei a moto dotate di lanciafiamme. Diversamente dai campi dei mostri della Hyrule superiore, saccheggiarli è sia divertente che utile perché ognuno di essi ha come tesoro uno schema che aggiunge un nuovo progetto preconfezionato allo Schematrix.
E non possiamo dimenticare il loro capo, il Maestro Kohga.
Egli è tristemente noto per essere stato in Breath Of The Wild il boss della peggior sezione del titolo: una figura incompetente al limite dell’imbarazzo, con uno scontro discutibile in una fase noiosa e sconnessa rispetto al core dell’esperienza. Ebbene, questo stesso personaggio è diventato, senza subire nessuna modifica caratteriale, l’elemento chiave di una delle migliori questline dell’intero gioco: gli sceneggiatori hanno infatti elevato il suo lato cartoonesco con numerose situazioni esilaranti, e al contempo gli hanno dato non uno ma addirittura quattro scontri, tutti diversi e ognuno più bello e creativo del precedente.
Grazie a lui, l’elemento peggiore del capitolo precedente, si potrebbe dire che sia stata introdotta nel sottosuolo una main quest in miniatura con tanto di villain principale, boss intermedi e boss finale.

E con questo è servita la vera identità del gioco: Tears Of The Kingdom non è definito dalle migliorie che apporta al titolo da cui deriva, ma dall’avere un open world in cui è possibile volare oltre l’orizzonte e raggiungere le viscere della terra in un’unica mappa.

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Il ritorno dei dungeon?
Adesso è il momento di analizzare l’elemento più spinoso della produzione, ovvero i dungeon e tutto ciò che li circonda.
Innanzitutto bisogna chiarire che i colossi sacri di Breath Of The Wild non sono mai stati “brutti” di per sé, anzi, tuttavia appariva fin troppo chiaro come non fossero previsti fin dall’inizio: hanno infatti tutti e 4 la stessa estetica, l’encounter design è inesistente come le fasi che li precedono, e infine sono corti, semplici e hanno poca varietà di boss. In Tears Of The Kingdom sfortunatamente alcune magagne sono rimaste perché i “templi” si terminano in fretta e hanno puzzle per lo più semplici.
Ma in tutto il resto, si può evidenziare un enorme miglioramento.
In primis, le storylines delle varie razze principali sono molto più articolate e su larga scala, e in generale si avverte maggiormente l’idea di un’apocalisse incombente, oppure di una lenta corruzione. Questo si traduce anche in pre dungeon con una durata maggiore in fasi realizzate ad hoc, con esempi come il maelstorm o le isole del tuono che riescono quasi a rivaleggiare con la traversata nel mare di sabbia in Skyward Sword.
I dungeon in sé sono tornati ad essere tematici sia esteticamente che come meccaniche: ognuno ha un suo particolare tipo di puzzle che si combina ad altri basati invece sul layout o su una gimmick esclusiva del luogo. In quanto al level design, gli ambienti proposti sono strutturati in molteplici piani separati che contengono gli interruttori e i meccanismi per accedere alla stanza finale, e non tutti sono accessibili fin da subito. Sui boss invece c’è poco da dire: costituiscono quello sfoggio di creatività e a volte epicità che nel predecessore purtroppo mancava; né è un esempio Cryogala/Colgera, pura magia che sembra stata presa da Wind Waker e trapiantata nel nuovo capitolo.
Fino a questo punto appare come la descrizione di un santuario dei capitoli classici, ma è un’illusione perché gli sviluppatori hanno integrato la natura open ended nel gioco qui tanto quanto nei sacrari. Ciò non implica solo la libertà di decidere da quale puzzle iniziare ma anche la possibilità di barare, saltando nei modi più fantasiosi parecchie tappe della navigazione; sostanzialmente è per questo motivo che anche un dungeon di dimensioni ragguardevoli come il tempio di fuoco si completerà in meno di un’ora.
Oltre a questo, Link non dovrà neppure affrontare le prove da solo: questa volta potrà contare sull’aiuto dei discendenti dei campioni sia fuori che dentro la struttura. Ogni compagno è dotato di un potere vitale per la risoluzione dei puzzle locali, e non esiterà a metterlo al servizio dell’eroe sotto forma di turbini di vento, rotolate esplosive, fulmini o barriere d’acqua. La cosa migliore è che non si tratta di aiuti momentanei, perché una volta superati gli obiettivi sarà possibile evocarli e congedarli a piacimento. Si ottiene così il comando di un’intera squadra, peccato però che a conti fatti si riveli più interessante sulla carta a causa di un sistema di controllo di gruppo ingiustificatamente scomodo.
Ritornando al discorso principale, in Tears Of The Kingdom hanno cercato di trovare un equilibrio tra la concezione tipica dei dungeon e possibilità illimitate per il giocatore: il risultato sono aree ancora non altezza del pedigree della serie, ma che in compenso vantano lo spirito e l’impegno che dovrebbero avere per essere degne del nome che portano.

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Ah ma esiste una storia
Analizzare la storia nel nuovo corso di Zelda è complicato perché gli sviluppatori hanno cercato di ridurla il più possibile per evitare di intaccare la libertà alla base dell’esperienza. Agire così per un seguito diretto è una scelta pericolosa, in quanto Breath Of The Wild funziona grazie al minimalismo che permea l’esperienza; minimalismo che in Tears Of The Kingdom non c’è. Il seguito comincia invero con un prologo narrativo che culmina con il cataclisma, e invece di una semplice forza di distruzione, quale è Calamity Ganon, ha come antagonista Ganondorf, quindi un personaggio a tutto tondo.
Molte cose avrebbero potuto andare storte, tra cui lo spreco di un villain simbolo che non si è fatto vedere per ben 17 anni, dall’uscita di Twilight Princess. Una grande intuizione tuttavia l’ha impedito, o almeno ha cercato di far coesistere la natura ludica del titolo con una storia degna di questo nome. Ciò che hanno scelto di fare è stato riprendere l’idea dei ricordi del passato ed evolverla: non mostreranno più antefatti, ma una vera e propria trama con i suoi twist e il suo climax ambientata in un’era dimenticata.
Il tempo è un tema che ritorna spesso nella saga post Ocarina of Time, dal loop temporale di Majora’s Mask al viaggio in Skyward Sword, e il nuovo capitolo non fa eccezione, sebbene adotti un nuovo approccio. Diversamente dai predecessori, gli eventi nel passato non avvengono in parallelo: sono già avvenuti e hanno già lasciato il segno, perciò la loro utilità è creare un contesto e un coinvolgimento emotivo finché le due timeline non si incrociano.
Appena ciò avviene, entrambe le narrazioni si completano a vicenda, dando vita a momenti di pura magia Zeldiana che in Breath Of The Wild sarebbero stati impossibili. La storia parla di sacrificio e di eredità: di un antico popolo che per sconfiggere un nemico invincibile ha dovuto imprigionarlo temporaneamente; di un altro che vuole vivere e riconquistare la propria libertà dai peccati del passato; e infine, di una persona che ha scelto di fare entrambe le cose.
L’unica cosa che potrebbe rovinare una costruzione di questa caratura è un boss finale non all’altezza delle aspettative, e fortunatamente non è questo il caso: il Ganondorf di Tears Of The Kingdom non è l’incarnazione più originale o complessa del personaggio, ma è in assoluto la più efficiente in combattimento mai vista. Quel che ne deriva è probabilmente il miglior scontro all’arma bianca della serie, seguito da una fase di puro spettacolo capace di concludere degnamente non l’avventura ma la “dilogia”.

Tirando le somme, il livello proposto è molto più alto rispetto al fin troppo minimalista predecessore, tuttavia ci sono delle falle, alcune comprensibili, altre molto meno.
Le più gravi si possono riassumere in un’evidente incapacità di conciliare del tutto la storia con la libertà del giocatore, traducendosi in filmati post dungeon tutti uguali e nel mutismo di Link su informazioni cruciali scoperte prima del previsto. Non si può chiudere un occhio perché trattandosi di una mancanza assente nel predecessore rappresenta un non giustificabile passo indietro.
Altre criticità si possono riscontrare nella continuity tra i due giochi che presenta alti e bassi: abbiamo gli Yiga e i centri abitati che hanno avuto una progressione eccellente; altre cose come per esempio la sparizione dei resti dei guardiani e della tecnologia sheika sono rimaste invece troppo vaghe, lasciando solo speculazioni; infine non tutti i personaggi secondari ricorrenti sembrano ricordare Link.
C’è ancora parecchio da migliorare, tuttavia se questo è il prezzo per avere una storia e un mondo gioco all’altezza della serie senza intaccare la libertà offerta, è accettabile.


Un grande viaggio
L’ultima cosa che si potrebbe dire sulla giocabilità è che si tratta di un’opera con un senso di coesione quasi assoluto dato dalla struttura e dalla progressione.
Cieli, terra e sottosuolo non esistono soltanto per dare l’idea che ci siano tre strati: sono settori della stessa mappa indissolubilmente legati dalla conoscenza spaziale che il giocatore acquisisce nel tempo, e dipendono l’uno dall’altro grazie alle risorse uniche che si trovano al loro interno. La Hyrule in superficie, la stessa che ha suscitato tanti dubbi prima del lancio, è stata disegnata in modo tale da collegare i nuovi contenuti introdotti in un regno già finemente tratteggiato. Il gioco è capace di guidare l’avventuriero da un punto d’interesse all’altro tramite stimoli di ogni tipo, eppure riesce a mantenere sempre l’illusione intatta perché prevede il suo comportamento e non lo forza.
Se il level design unitario del predecessore era progettato per garantire strade in tutte le direzioni, quello del seguito tratta ogni tappa come i settori di un colossale dungeon dalle infinite combinazioni.
In quanto alle oltre 100 ore che compongono l’esperienza –per un’alta percentuale di completamento-, ogni minuto è scandito dalla sua progressione, da un mix di acquisizione di nuovi poteri, sapere e inventiva che creano sorprese dall’inizio alla fine. Si tratta di un sistema che si autoalimenta grazie a sacrari e incarichi, così che possa insegnare agli utenti quali sono le loro vere abilità prima di mostrargliene di nuove. Congegni zonau, veicoli con Ultrahand, Fuse, compagni, ci sono meccaniche e dettagli da scoprire dai titoli di testa fino ai titoli di coda, ed è possibile continuare anche dopo perché alcune abilità hanno come limite solo la propria immaginazione... e anche un’altra cosa.
In effetti è paradossale che in quello che probabilmente è il pregio massimo si trovi una della poche magagne serie del gioco, ovvero il quality of life. Potenzialmente esistono tecnicismi e sperimentazioni infinite nell’opera, purtroppo però per averci accesso è necessario imparare a sopportare una gestione dei menù e del lock on discutibili. Il primo difetto fa da collo di bottiglia all’abilità Fuse perché rende scomodo cercare ogni volta nell’inventario l’oggetto giusto da combinare; il secondo a volte impedisce di mettere in atto delle tattiche in combattimento, poiché per passare da un nemico all’altro bisogna abbassare la guardia e sparare che agganci quello desiderato.
E’ possibile imparare ad accettare entrambi i problemi, ma non c’è nulla da fare: alla fine il pelo nell’uovo arriva per tutti, persino in un game design così rifinito.

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Apocalisse audiovisiva
Il vero maestro di un’arte è colui che riesce ad ottenere tanto con poco.
Sono ormai 3 generazioni che Nintendo ha scelto di lavorare con hardware molto inferiori rispetto alla concorrenza, questo però non le ha impedito di rilasciare titoli visivamente di alto livello. Breath Of The Wild non fa eccezione, seppur con una differenza: dietro la sua poderosa direzione artistica si nasconde un comparto tecnico di gran lunga più avanzato rispetto alla media, al punto da aver distrutto molti falsi preconcetti sull’implementazione della fisica negli open world. Tears Of The Kingdom parte da questa base e la usa per raggiungere nuove vette, seppure con qualche singhiozzo.
Il comparto estetico mantiene le influenze primarie da “Studio Ghibli”, con Link che non è identico in tutto e per tutto ad Ashitaka di “La Principessa Mononoke” solo perché è biondo, aggiungendone però di nuove. Le maggiori novità riguardano lo stile degli zonau e dei loro golem, partito da un look azteco che è stato ibridato con derivazioni draconiche, importanti tanto per il background della razza che per la storia del gioco. Non meno importanti i dungeon, a questo giro ognuno caratterizzati dal proprio tema, e poi il sottosuolo che grazie ai suoi ambienti bui, abitati da flora e fauna estranei agli strati superiori, restituisce l’idea di trovarsi in un mondo alieno. Ulteriori note di merito vanno infine spese per il character design, eccellente sia nei nuovi che nei vecchi personaggi, con quello che probabilmente è il miglior trio della Triforza (Zelda, Link e Ganondorf) mai visto nella serie.
Riassumendo, la direzione artistica imponente già di suo non è stata rimaneggiata ma arricchita con idee che riescono ad integrarsi bene nel grande disegno, come in ogni seguito che si rispetti. Come grafica nuda e cruda all’inizio invece non sembrano esserci nette differenze: si nota una distanza visiva maggiore, mentre le texture, i modelli e gli effetti appaiono indistinguibili senza un’adeguata comparativa fatta da esperti del settore.
Poi però si cade dalle isole volanti, si comincia ad usare Ultrahand, e si comprende che i passi avanti non sono in ciò che si vede ma in quello che si può fare. Per esempio la fisica che tanto ha fatto scalpore nel 2017 è stata notevolmente migliorata, con un sistema che memorizza ogni reazione di qualunque oggetto vicino perché deve considerare l’utilizzo di Recall. La capacità del motore di caricare texture e modelli lascia a tratti basiti, dal momento che senza SSD si può scendere dalle nuvole e raggiungere il cuore del baratro più profondo senza alcuno stacco. Non l’impressione ma la “certezza” di avere ben tre mondi tra le proprie mani restituisce un senso di grandezza difficile da quantificare, poco importa che si stia alla guida di un aereo o in picchiata. E ancora di più ad uscirne valorizzato è l’impatto scenico, specie quando si entra a stretto contatto con la devastazione che sta martoriando il regno: poco, molto poco, può pareggiare le sensazioni che si provano mentre si risale per un uragano fino a vedere la luce del sole che illumina l’occhio del ciclone.
Ma era impossibile non prevedere che dei simili prodigi tecnici su una console dalle specifiche modeste come Nintendo Switch non avessero un prezzo da pagare. Il conto è un framerate che esattamente come quello di Breath Of The Wild fa molta fatica a rimanere stabile in presenza di molte unità ed effetti su schermo o di trasparenza; inoltre la pulizia dell’immagine non è all’altezza delle aspettative a causa di un fastidioso effetto aliasing e di un effetto nebbia/foschia alquanto marcato in alcune situazioni. Alla luce di ciò, è giusto dire che Tears Of The Kingdom rappresenta un miracolo tanto quanto la prova che l’hardware ha fatto il suo tempo.
La pulizia del software invece è praticamente senza pari.
Gli ultimi due Zelda sono giochi esemplari in quanto è possibile completarli entrambi senza imbattersi neanche nel più insignificante dei glitch –a meno che ovviamente non lo si forzi come nei glitch di duplicazione- o in una routine sbagliata degli animali. Per fare un esempio personale, in ben 200 ore non ho mai –e sottolineo MAI- visto una compenetrazione poligonale nell’utilizzo di Ultrahand, nonostante ogni azione venga calcolata in tempo reale e ci siano continue collisioni e reazioni fisiche.
E’ credenza comune e accettata che sia inevitabile la presenza di bug e altri tipi di problemi nei titoli open world particolarmente grossi, Nintendo però per la seconda volta dimostra che nulla è così immenso da non poterlo rifinire.

Passando invece al comparto sonoro, su Breath Of The Wild è stato svolto un lavoro stellare sui campionamenti e sui suoni della natura, entrambi realizzati con cura maniacale e di conseguenza importati anche nel seguito. A livello di melodie purtroppo però, a parte qualche eccezione tra cui il tema principale, non si è rivelato all’altezza della serie, in quanto dominavano delle tracce ambientali silenziose, e i momenti importanti non sempre comunicavano il giusto pathos.
I compositori di Tears Of The Kingdom hanno ascoltato molto bene le critiche, e ciò si nota già quando compaiono i titoli di testa o ai primi rintocchi della campana dell’isola volante iniziale. Ci sono molte più ambient a rompere la quiete della esplorazione, e fatte meglio, inoltre possiamo notare l’utilizzo di strumenti specifici per comunicare delle sensazioni come da prassi Nintendo: ne è un esempio il corno, la cui unica nota è solenne quando si vola tra le nuvole, raggelante quando annuncia l’ingresso nel sottosuolo.
La miglioria più significativa però si riscontra nei dungeon, nelle boss fights, e in generale nei momenti chiave dell’avventura, dai filmati alle fasi in cui si cerca di superare i disastri causati dal cataclisma. Tutte le situazioni sono caratterizzate da potenti crescendo musicali, i quali sono capaci tanto di ricreare l’atmosfera quanto di concedere al viaggio dell’eroe il sapore epico che dovrebbe avere. Sarebbe impossibile immaginare una qualsiasi di queste sequenze senza la melodia che l’accompagna, a testimonianza del grande lavoro svolto dal team; del resto Zelda è sinonimo di grande musica, e dopo una piccola deviazione è stata reintrodotta nella serie.


Questa non è “magia”. Questa è “Nintendo”
The Legend Of Zelda: Tears Of The Kingdom non è solo un gioco, ma un’assoluta dimostrazione di forza da parte della casa di Kyoto. Aonuma e Fujibayashi sono riusciti a compiere qualcosa di incredibile: hanno scosso l’industria videoludica nel 2017 con Breath Of The Wild, e l’hanno fatto di nuovo nel 2023 con un titolo capace di rappresentare il passo successivo di uno dei titoli più lodati del nuovo millennio.
E per quanto sia bello credere il contrario, non è stato il risultato di alcuna magia.
Stiamo parlando del prodotto di una società che, anche quelle poche volte in cui è stata costretta ad adeguarsi alle regole del mercato, ha sempre seguito la propria strada; una compagnia che non ha esitato a rimandare di un anno intero il proprio rilascio più importante in assoluto per avere un polishing immacolato, e per non sottoporre gli sviluppatori a crunch devastanti nel mezzo.
A due generazioni di distanza, Nintendo sta godendo i frutti del coraggio avuto con Wii, quando ha deciso di sacrificare la potenza hardware per il diritto di osare, mentre la concorrenza si ostina a restare chiusa in un cammino autodistruttivo. E hanno osato, diamine se l’hanno fatto. Quando gli sviluppatori hanno messo le carte in tavola con il nuovo capitolo di Zelda, a molti sono venuti i brividi: temevano che il loro obiettivo fosse guadagnare una quantità enorme di soldi con un progetto conservativo, se non “pigro” per i loro elevatissimi standard.
In pochi però potevano prevedere che avrebbero espanso il gioco e la formula a tal punto da ridurre in retrospettiva il predecessore ad un mero prototipo, nonostante l’industria sia ancora ben lontana dal metabolizzarlo. Ma non deve essere interpretato come un invito a saltarlo: Tears Of The Kingdom non rende Breath Of The Wild inutile per il giocatore, ma un punto di partenza per permettergli di immergersi subito in un’esperienza così profonda e stratificata che avrebbe potuto sopraffarlo.
Se nel 2017 abbiamo imparato ad arrampicarci e ad interagire con gli oggetti in un open world; nel 2023 abbiamo imparato a costruire macchine per volare in un cielo pieno di isole, e ad affrontare l’abisso. E nel frattempo, tutti gli altri stanno a guardare mentre il gap tra Zelda e il resto dell'industria si ingrandisce ancora di più.

Voto: 10

Edited by The Warden Eternal - 17/9/2023, 20:54
view post Posted: 21/8/2023, 15:33 Final Fantasy XVI - Recensioni
Poteva essere un pò più lunga questa recensione, Chris :P :P

Scherzi a parte, articolo immenso sia per quantità che per sostanza :lol: Anche se non mi sento di concordare su tutto, si vede che ti sei preso il tuo tempo per valutarlo!
view post Posted: 10/4/2023, 06:38 Resident Evil 4 Remake - Recensioni
CITAZIONE (Zapan @ 10/4/2023, 01:38) 
CITAZIONE (The Warden Eternal @ 9/4/2023, 22:35) 
E' complementare: ha proprio un'altra direzione rispetto al RE4 originale, tant'è vero che se provi a sfruttare i suoi exploit (che hanno lasciato proprio come bait), il gioco ti punisce.

In effetti ho sentito dire che qui hanno rimosso molti colli di bottiglia, ovvero spazi ristretti in cui controllare le ondate nemiche, costringendole così ad attaccarti da un solo lato, che nell'originale semplificavano molto certi scontri. Qui invece sembra che ci siano più opportunità per farti la pelle.

Beh, considera che nell'originale non solo non potevi muoverti, ma quel gameplay che era una novità che volevano sbandierare, quindi quelle sezioni ci stavano. Nel Remake invece ogni cosa è basata sul fatto che puoi muoverti e sparare contemporaneamente.
view post Posted: 9/4/2023, 21:35 Resident Evil 4 Remake - Recensioni
CITAZIONE (Hero of Sky @ 9/4/2023, 19:51) 
Chris secondo te questo remake sostituisce di fatto l'originale come Rebirth o è a esso complementare?

E' complementare: ha proprio un'altra direzione rispetto al RE4 originale, tant'è vero che se provi a sfruttare i suoi exploit (che hanno lasciato proprio come bait), il gioco ti punisce.
view post Posted: 9/4/2023, 17:58 Resident Evil 4 Remake - Recensioni
Una grandissima recensione piena di amore Chris! :cheers: :cheers:

Che dire? Ho amato come poche cose l'originale RE4 nonostante l'abbia giocato solamente l'anno scorso, e in qualche modo quei mostri di Capcom sono riusciti a fare un remake che non solo ho apprezzato alla stessa maniera ma è riuscito a darmi anche la sensazione di star giocando qualcosa di diverso nonostante il ricordo così fresco.
Resident Evil 4 Remake è semplicemente un capolavoro supremo, un gioco che mostra a tutti come dev'essere realizzato sia un remake che un vero videogioco: una produzione in cui non c'è un solo minuto sprecato, ritmo di una perfezione senza pari, boss fights straordinarie, atmosfera possente e tanto tanto altro. Sto metà della mia seconda run e ho in programma di farne altre!
view post Posted: 9/3/2023, 22:06 Fire Emblem Engage - Recensioni
Un'altra volta pubblichi la recensione di un Fire Emblem con un voto alto, e un'altra volta mi ricordo che non ne ho mai finito manco mezzo. Mi sento sporco XD

Comunque grande recensione come sempre Chris ;) :cheers:
view post Posted: 6/2/2023, 20:50 Dead Space Remake - Recensioni
Letta tutta. Fantastica recensione come al solito per un titolo per cui inizialmente non avevo nessuna aspettativa e che poi è diventato uno dei miei most wanted appena visto il primo vero video di gameplay :lol:

Che dire? Sono al capitolo 10 e posso dire che questo è il miglior Dead Space di sempre perché non solo hanno rifatto il primo capitolo, ma hanno preso il meglio da ogni capitolo per farlo "convergere" (XD) qui, con un risultato eccezionale.
view post Posted: 16/1/2023, 20:41 Soundtracks nel mondo dei Videogames - Giochi
Credo sia una delle migliori tracce che abbia mai sentito

view post Posted: 6/1/2023, 13:22 Favorites 2022 - Gli Oscar 2022 di RYSE Games
Come da tradizione, ecco i miei :D

POSIZIONE 10: KIRBY: PLANET ROBOBOT
Sì comincia davvero la classifica con la palletta rosa che mi ha accompagnato per buona parte dell’anno scorso.
Ho giocato e portato a termine ben 4 titoli di Kirby nel corso del 2022 includendo The Forgotten Land. E’ stata una bella sfida sceglierne uno tra quelli usciti prima dell’anno appena terminato, ma alla fine ho scelto Planet Robobot perché da amante di Gurren Lagann non potevo non amare un’avventura in cui trituri una macchina di dimensioni planetarie XD
Detto questo, Planet Robobot riesce più degli altri Kirby a farti avvertire la costante sensazione di potere grazie al mech, che garantisce anche una notevole varietà di meccaniche e di situazioni. L’avventura è breve come (purtroppo) gli altri Kirby, tuttavia mi sono goduto ogni secondo grazie al perenne sorpreso, merito anche di un comparto grafico superlativo per la console di riferimento e ambientazioni memorabili.

POSIZIONE 9: MARVEL’S GUARDIANS OF THE GALAXY
Puoi combattere il boss finale con “Holding out for a Hero” in sottofondo. Non ho bisogno di aggiungere nient’altro (ma lo farò lo stesso XD).
I due film di I Guardiani della Galassia sono tra i film di fantascienza del nuovo millennio che apprezzo di più; li amo alla follia. Tuttavia, dopo il deludente Avengers nutrivo più di qualche dubbio verso un gioco su licenza a tema con sopra il nome maledetto di Square Enix, specie se a farlo è Eidos Montreal, con cui ho ancora il dente avvelenato per Deus Ex.
Ebbene, stavolta sono rimasto fregato perché non ho voluto sostenere subito il miglior gioco a tema supereroistico dai tempi di Batman Arkham City.
Sapevo di non dovermi aspettare nulla di incredibile dal gameplay, e infatti l’ho trovato soltanto accettabile, ma tutto il resto è riduttivo dire che mi abbia stregato, a partire dalla sontuosa art direction fino alla scrittura di alto livello. In particolare i personaggi sono stati la mia più grande sorpresa, perché lo screen time maggiore garantito dai videogiochi gli ha addirittura permesso di superare le loro controparti cinematografiche, soprattutto Drax e Gamora. Non è un mistero la mia avversione ai titoli sulla falsariga di Uncharted, ma l’ultima opera di Eidos Montreal la porterò nel cuore, e maledirò Square Enix per averla fatta floppare.

POSIZIONE 8: SUPER MARIO 3D WORLD + BOWSER’S FURY
Se Bowser’s Fury fosse stato una produzione a tutto tondo invece di un contenuto extra, sarebbe finito in seconda posizione in questa classifica.
Quello che ha fatto Nintendo non è stato dimostrare che è possibile un Mario open world, ma che sarebbe meraviglioso. Lo Sgattaiolago di Bowser’s Fury è come se fosse una grande world map in cui si entra e si esce dai livelli senza né caricamenti né stacchi, in un’esperienza mai stata così fluida, neppure in Mario Odyssey per certi versi; un vero sguardo al futuro dell’anima tridimensionale della serie.
Come se ciò non fosse sufficiente, hanno anche pensato di ridare finalmente una dignità a Bowser in quanto boss e minaccia, perché una battaglia tra un Bowser di 50 metri e un Mario felino gigante sapete di volerla solo quando la vedete. Aggiungere altro sarebbe superfluo.

POSIZIONE 7: RETURN OF THE OBRA DINN
I giochi investigativi non dovrebbero rivolgersi ad un ampio pubblico, perché per rendere un titolo di questa tipologia soddisfacente anche in mancanza di altre meccaniche è necessario che il giocatore si debba sudare la soluzione. Lucas Pope, già autore del bellissimo Papers Please, lo sapeva, pertanto ha realizzato il suo secondo gioco con questa idea in mente.
Return of the Obra Dinn è un’avventura intrigante, con uno stile visivo accattivante e una storia marinaresca di alta qualità, ma la differenza la fa appunto il suo gameplay minimale e complesso allo stesso tempo. Pochi titoli sono capaci di restituire un’idea di essere un detective tanto autentica, perché tra la ricostruzione di uno scenario e l’altro conta OGNI DETTAGLIO, anche cose assurde a cui normalmente non penseremmo mai: un accento, una pipa gettata a terra, il luogo in cui viene trovato un cadavere.
Che piaccia o meno la risposta ad un enigma, alla fine si è sempre felice di riceverla perché siamo stato noi ad averla trovarla, non la naturale progressione dell’avventura, e questo in un videogioco significa tutto.

POSIZIONE 6: ZELDA: A LINK BETWEEN WORLDS
Se dovessi fare una classifica dei titoli del 2013, metterei l’ultimo capitolo 2D originale di Zelda in prima posizione senza pensarci un istante. A Link Between Worlds racchiude in sé i motivi per cui il game design di Nintendo non ha rivali, e il perché nessuno è riuscito –né riuscirà mai- a superare un Zelda.
Al di là della grandiosità della sua gimmick principale, il potere di diventare un dipinto, il gioco vanta un dungeon design così valido da rendere irrilevante il grave difetto della mancanza di uno scaling della difficoltà. I dungeon del gioco sono stati interamente costruiti su una gran quantità di sottosistemi che interagiscono tra loro, con un’altissima considerazione data alla percezione spaziale, perché anche la più banale parete può essere una strada. Il risultato è un titolo estremamente giocoso e intelligente in ogni cosa, incluse azioni all’apparenza banali, proprio come da tradizione Nintendo. E la stessa casa di Kyoto ha anche pensato bene di rimuovere la progressione lineare che ha colpiti gli ultimi capitoli della serie per riportare la struttura alla libertà del capostipite e del “A Link to the past” da cui riprende il setting e parte della storia. Un titolo meraviglioso dall’inizio alla fine grazie ad un’avventura che ha fatto da precursore a quel Breath Of The Wild che sarebbe uscito solo 4 anni dopo.

POSIZIONE 5: PERSONA 5 ROYAL
Devo confessarvi un segreto: non ho mai finito un JRPG (Pokémon escluso).
Fino ad ora XD
C’è tanto che potrei dire sul titolo Atlus, come il fatto che sia riuscito a risvegliarmi sensazioni rimaste sopite da troppo tempo, o che sia riuscito a farmi spendere più di 100 ore in un’unica run su un gioco, cosa che non accadeva da Breath Of The Wild.
Nonostante alcuni aspetti discutibili, Persona 5 è tante cose: cose che apprezzo, o che durante l’avventura ho imparato ad apprezzare.
E’ un gioco alla Pokémon in cui usi mostri folkloristici e divinità (del resto Shin Megami Tensei, da cui deriva lo stesso Persona, è il padre della formula), e in cui non si è costretti a sorbirsi le poverate degli ultimi giochi Game Freak. Neanche ricordo quando è stata l’ultima volta che mi sono messo a gestire la mia squadra come se stessi effettivamente preparando un deck per un’ardua sfida, e qua sono stato costretto a farlo SEMPRE. Oltre a questo, è anche un ottimo JRPG, con meccaniche semplici da utilizzare ma ben stratificate, un buon livello di sfida, e dungeon più curati di quanto ci si aspetterebbe.
Tuttavia stiamo parlando di Persona, un gioco che come Yakuza dimostra una cosa importante: se il tuo obiettivo è realizzare un gioco narrativo di genere diverso da un cRPG puro, non devi cercare di combinare la due nature, ma trattarle entrambe come la componente principale e poi dargli il giusto spazio. E’ così che la parte narrativa di Persona 5 funziona come se fosse un gioco di appuntamenti, in cui si utilizza il tempo limitato per mandare avanti la storia e svolgere le attività sociali.
Ho capito che era la scelta giusta quando ho giocato più di 5 ore prive di scontri senza provare un minimo di noia, forse perché anche in quelle fasi “sociali” mi sentivo di star continuando a “giocare”.
Probabilmente non guarderò più i giochi storydriven con gli stessi occhi.

POSIZIONE 4: SPIRITFARER
Che dire che non sia già stato detto nella recensione?
Di norma non apprezzo le produzioni videoludiche che vengono spacciate come “opere d’arte”, perché in quasi tutti i casi le ritengo un pessimo esempio di sfruttamento del medium di appartenenza. Spiritfarer è tra queste pochissime eccezioni, perché ha deciso di trattare i suoi spunti tramite il gameplay, e ha costruito una VERA giocabilità per raggiungere quell’obiettivo.
Questo merito basta e avanza per fargli avere di diritto la posizione subito prima del podio, ma Thunder Lotus ha voluto darsi da fare, mettendo su un’opera di alta qualità in quasi ogni aspetto. Un gioco indipendente di cui gli sviluppatori possono essere fieri di aver creato, mentre il giocatore sarà felice di averla potuta vivere con il proprio joypad/tastiera.

POSIZIONE 3: MONSTER HUNTER WORLD
Monster Hunter World è stata la mia sorpresa dell’anno.
Avendo recuperato prima Monster Hunter Rise, ero convinto che non avrei visto molte differenze nel core, e soprattutto temevo che mi sarebbe mancata la mobilità offerta dagli insetti, ma non si è verificata nessuna delle due cose. Anzi, non solo non è successo, ma posso dire che se avessi giocato World prima di Rise, quest’ultimo l’avrei apprezzato probabilmente la metà.
World è un gioco che mi ha spiazzato, uno dei pochi titoli usciti nella scorsa generazione che mi ha dato l’idea di essere qualcosa di “next” per quegli anni: una costante avventura in un ecosistema selvaggio curato fino allo stremo, con mostri vivi che viaggiano in mappe gigantesche che regalano caccie sempre diverse. Cacciare non significa semplicemente “combattere”, significa diventare parte della natura di Monster Hunter, per poi sfruttarla per sopraffare creature molto più forti di noi e che venderanno cara la pelle pur di non cederla a noi.
Nonostante i grossi problemi avuti con la creazione dei mostri (che hanno lasciato un roster purtroppo poco vario), Monster Hunter World è un atto di forza, un simbolo della rinascita che Capcom ha avuto dal 2017 in poi. E sono lieto di averlo finalmente giocato, perché per molti versi è stato come vivere un sogno ad occhi aperti, rammentando i tempi in cui mi sfondavo sul Monster Hunter Tri per Wii.

POSIZIONE 2: STARDEW VALLEY
Stardew Valley non è in prima posizione solo perché ha avuto la sfortuna di essere stato recuperato dal sottoscritto insieme ad un’assoluta pietra miliare dell’intero medium.
L’anno scorso mi sono scoperto amante di Animal Crossing, pertanto non è una sorpresa che subito dopo io sia andato alla ricerca di titoli simili, ma non mi sarei mai aspettato di trovare una perla grande come questa.
Stardew Valley è ciò che ottieni quando ad un titolo già di suo perfetto si aggiungono ben 6 anni di supporto, con il risultato di un’opera mastodontica, dove dopo un centinaio di ore ancora si crede di aver solo sfiorato la superficie. Coltivazioni, pastorizia, pesca, socializzazione con gli NPC, esplorazione, persino il multiplayer, questo titolo ha tutto, eppure è irrilevante rispetto al vero motivo per cui è così in alto in classifica: è il miglior gioco che abbia mai provato su Switch.
Non mi riferisco (solo) alla qualità, quanto al fatto che il titolo sembra sia nato per Switch, nonostante sia stato rilasciato prima che venisse annunciata: dopotutto, al di là della meravigliosa pixel art leggibilissima sulla console portatile e degli ottimi controlli, Stardew Valley è un perfetto per le sessioni mordi o fuggi, in cui quando si ha tempo ci si ritrova a dire “un altro giorno –in game- e poi basta”, finché non si fa notte.
Curato, immenso, rilassante e universale, queste sono le parole chiave di questa esperienza.

POSIZIONE 1: RESIDENT EVIL 4
Il non aver giocato Resident Evil 4 è stato per più di 15 anni uno dei peccati più grandi della mia intera carriera da videogiocatore.
Il titolo Capcom è uno dei più grandi videogiochi di tutti i tempi: un’opera mostruosa, simbolo di potenza ludica, di splendore visivo, e infine di rinnovamento dei titoli in terza persona. Ma non è questo il motivo per cui ho deciso di premiarlo con la prima posizione.
Esattamente come il primo Doom, la potenza del “RE” è ancora quasi del tutto inalterata, con soltanto i menù a risultare anacronistici se approcciati al giorno d’oggi. Perché RE4 era un Dio rispetto ai titoli della sua epoca, ed è rimasto il leader in parecchi aspetti, con molti titoli più recenti che possono solo sognarsi di reggere il paragone, inclusi gli altri capitoli della stessa serie: un encounter design che definire mostruoso è riduttivo, con una quantità di idee vincenti così grande da poter ricordare quasi tutti gli scontri; un bestiario di nemici standard e boss ancora adesso tra i migliori in circolazione; bilanciamento allucinante; notevole longevità.
Con RE4 non esiste quindi il discorso di dover tenere conto dell’anno, perché che venga valutato come un titolo del 2005 o del 2022 non fa alcuna differenza (ed è inoltre stata rilasciata un’eccellente mod HD per PC che migliora in modo significativo la grafica senza intaccarne la direzione artistica). Indipendentemente dalla data, la storia resta sempre la stessa: Resident Evil 4 è un capolavoro, il canto del cigno di una generazione e uno dei videogiochi più potenti che abbia mai giocato.
view post Posted: 5/1/2023, 23:45 The Callisto Protocol - Recensioni
Un'altra grande recensione si aggiunge al sito :D

E' un vero peccato che alla fine il gioco non abbia rispettato le aspettative, del resto io ci speravo...
Ora dobbiamo sperare in Dead Space.
view post Posted: 3/12/2022, 18:52 God Of War Ragnarok - Recensioni
Letta tutta, fantastica recensione Chris! :D :cheers:

Ma perché da un paio d'anni a questa a questa parte abbiamo cominciato a concordare su ogni cosa quando si parla delle esclusive Sony che recensisci? Sono cambiato io o sei cambiato tu? :XD: :XD:
view post Posted: 29/11/2022, 21:28 Spiritfarer - Recensioni
Grazie Chris! :D

Allora devi rimediare!
view post Posted: 29/11/2022, 21:15 Pentiment - Recensioni
Grazie mille Chris!
Ricordiamo sempre che questo è anche merito tuo visto che mi hai istruito :D :cheers:
view post Posted: 23/11/2022, 21:36 Pentiment - Recensioni
CITAZIONE (Hero of Sky @ 23/11/2022, 21:04) 
Torno sul forum ora che la situazione di cui parlavo sembra essersi risolta e trovo non una ma ben due nuove recensioni di Promethean,un raro e lieto piacere.

Cominciamo da Pentiment di cui, sia pure casualmente, avevo già letto in altri lidi, rimanendone molto colpito.

Il concept mi ha intrigato da subito leggendo altre recensioni, sia per il periodo scelto,che mi è sempre interessato e di solito è pochissimo battuto dal videoludo, sia dallo stile in sé.

Se ora come ora avessi più tempo probabilmente avrei già fatto in modo di provarlo, ma ora non posso, purtroppo.

Prima di chiudere, due parole sul tuo stile di scrittura, che in questi anni è estremamente migliorato, facendo trasparire molto la tua personalità, e ha reso la lettura ancora più piacevole

Grazie mille Hero! :cheers: :cheers:
2711 replies since 27/4/2014